05 febbraio 2007

Si aprono le porte del tribunale per il "Genio" italiano delle truffe on-line

Sono stati gli stessi agenti della Polizia postale ad affibbiarli il soprannome di “Genio” così da distinguerlo dai comuni truffatori, visto che E.Z. 27enne studente del Politecnico di Torino residente ad Ivrea, di comune proprio non aveva nulla grazie alla capacità di forzare i sistemi di sicurezza delle grandi banche italiane come se niente fosse.Una capacità dimostrata in prima persona direttamente. >>>

Privacy in azienda: i limiti del garante

Riepiloghiamo per chi non avesse tempo di leggersi tutte le disposizioni in merito, alcuni passaggi importanti: Il garante per la privacy fissa i paletti per la protezione dei dati personali in azienda. Con un documento di una ventina di pagine, stabilisce in via generale che “Le informazioni di carattere personale possono essere trattate dal datore di lavoro nella misura in cui siano necessarie per dare corretta esecuzione al rapporto di lavoro; talvolta, sono anche indispensabili per attuare previsioni contenute in leggi, regolamenti, contratti e accordi collettivi. In ogni caso, deve trattarsi di informazioni pertinenti e non eccedenti e devono essere osservate tutte le disposizioni della vigente disciplina in materia di protezione dei dati personali che trae origine anche da direttive comunitarie”. Poi scende nel dettaglio e in sintesi stabilisce >>>

Navigare su Internet per motivi personali in azienda non è motivo di licenziamento

Il Tribunale di Perugia, con ordinanza, ha reintegrato nel posto di lavoro un dipendente che era stato licenziato, in quanto si era collegato numerosissime volte a internet, a fini personali, avvalendosi del PC messogli a disposizione dall’azienda. Il Tribunale ha ritenuto che il comportamento del lavoratore è stato scorretto, ma di per sé non è stato di gravità tale da giustificare il licenziamento. La datrice di lavoro, infatti, non ha mai contestato al lavoratore né un calo di rendimento né il fatto di aver procurato danni all’azienda. A seguito del reclamo presentato dalla datrice di lavoro, il Tribunale di Perugia, in composizione collegiale, ha confermato il provvedimento e ha ritenuto che «poiché la condotta addebitata al lavoratore è solamente quella dell’uso (sia pure smodato) del PC per finalità personali, occorre evidenziare che una simile condotta – pur sicuramente illecita – non integra nemmeno giustificato motivo di licenziamento, dal momento che (art. 50 CCNL) l’uso di strumenti aziendali per un lavoro (ipotesi senz’altro estendibile all’uso attuato per svago) estraneo all’attività dell’azienda costituisce illecito disciplinare che legittima unicamente la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione».